Il concetto di massa critica è esposto da Giancarlo Schiaffini nel suo libro “E non chiamatelo jazz…“. Secondo il trombonista romano esiste un numero limite (tredici unità) oltre il quale la composizione estemporanea diventa improponibile, di esito problematico o negativo. Enrico Fazio non si preoccupa di questa avvertenza poiché innanzitutto, il suo gruppo, anche se è denominato “Critical mass”, si configura come un ottetto, ben al di sotto della soglia massima prima enunciata; poi perché qui la musica è preparata, arrangiata e attentamente sorvegliata dal compositore piemontese. Nulla è lasciato al caso. Le improvvisazioni vengono fuori, infatti, da una struttura omogenea e compatta, che solo in apparenza può sembrare mobile e non vincolante e costituiscono un ampliamento, una dilatazione dell’idea portante, diventando esse stesse un momento elaborativo strettamente connesso con il motivo di base indicato dall’autore. E’ un continuo rimando fra composizione e improvvisazione, dove è difficile scorgere il confine fra i due momenti, poiché un elemento intacca, aggredisce l’altro, per costruire, così, una musica definita in modo unitario e organico con il marchio stilistico inconfondibile del bassista storico dell’Art studio.
Fazio ci ragiona molto prima di registrare un disco. Sono passati alcuni anni dall’incisione precedente con un gruppo di queste dimensioni. Quando, però, si decide al grande passo vuol dire che ha veramente qualche messaggio artistico urgente da comunicare. Così è anche per questo “Shibui“, un album curato a fondo, pregno di intuizioni, di squarci imprevedibili, di sviluppi inconsueti e di un ancoraggio, allo stesso modo, evidente con la tradizione del jazz. Negli otto brani del cd si dichiarano, nelle note di copertina, le ispirazioni, le referenze molto libere a Kurt Weill, ai Colosseum, allo stile di New Orleans, alla musica seriale o semplicemente agli esperimenti vocali di un bambino di quattro anni all’interno di un music box. In realtà tutti questi fattori vengono usati vantaggiosamente dall’acuta sensibilità del band-leader per produrre un suono complessivo indubbiamente personale, con alcuni aspetti decisamente da sottolineare. L’ottetto, ad esempio, è scomposto sovente in formazioni più piccole. Non sempre tutti sono protagonisti. Il lavoro di sezione a volte è condotto dai fiati, su cui può lanciarsi in volo il solista di turno. In altre circostanze sono pochi strumenti a portare avanti un riff, oppure sono soltanto basso e batteria a tenere su gli interventi solistici. In determinati segmenti il dialogo fra sassofono e tromba o trombone è sufficiente a sostenere efficacemente l’andamento del brano, fra esposizione del tema e improvvisazione. Per aumentare, ancora, il tourbillon, arricchire ulteriormente il menù di colori etnici, in una traccia si sente il balafon e un tastierista, Paolo Rolandi, si inserisce in quattro brani. Niente paura: tutto è tenuto sotto controllo dalla guida estremamente lucida e consapevole di Enrico Fazio. I momenti free, quando sono previsti, sono di tipo tonale, o appena appena oltre. Mai si arriva a superare determinati steccati. I musicisti coinvolti, tutti dell’area piemontese, seguono con un atteggiamento convinto e partecipe, quasi devoto, le direttive del leader. Si distinguono in particolare i due ottoni, Alberto Mandarini e Giampiero Malfatto per la capacità di restare legati ad un mood classico, jazzistico, anche quando la musica sembra indirizzarsi verso ambiti più avanzati. I tre sassofonisti esprimono coesione ed energia sui loro strumenti e passano abilmente attraverso climi diversi, mantenendo una carica adeguata e sapendo ricoprire il ruolo di supporto e di proposta con lo spirito giusto. Il violino di Luca Campioni è un valore aggiunto, sia per gli spunti solistici mai scontati, sia per il contributo timbrico al sound del gruppo. Resta da dire della sezione ritmica. Fazio e Sordini vantano una notevole abitudine a suonare insieme, ma non si accontentano mai, si stimolano a vicenda per formare un’ossatura di tipo orchestrale, perché questo ottetto viene impiegato come una mini big band.
“Shibui” è un’ulteriore prova delle capacità di autore, arrangiatore e direttore di combos allargati per Enrico Fazio. Un musicista che conosce la musica afroamericana, l’avanguardia italiana, europea e tutto quanto è girato intorno a questi generi nell’ultimo quarto di secolo. La sua è un’operazione di sintesi, più a selezionare che ad accumulare. Nel disco, a conti fatti, prevale la sua visione di un jazz bene organizzato, rifinito, dotato di una giusta dose di libertà e di spinta in avanti verso nuove possibili frontiere.
Gianni Montano per Jazzitalia – Gennaio 2014