Enrico Fazio, cuoco o alchimista?
Nuovo capitolo del gruppo (adeguatamente rinforzato) che Enrico Fazio riunisce periodicamente (in questo caso nel novembre 2017, come data d’incisione) sotto il nome di Critical Mass e nuovo senso di ammirazione (del resto antico ormai di trent’anni e più, da quando il bassista piemontese iniziò a incidere musica propria con gruppi diversi dall’Art Studio, che fino a quel momento ne aveva assorbito le energie creative) per la ricchezza che questa musica sa esprimere sotto ogni profilo: compositivo, aggregativo, solistico…
Il nuovo lavoro s’intitola Wabi Sabi e come il precedente Shibui (2013) è uscito per la londinese Leo Records. Vi agisce un nonetto stabile con rinforzi più o meno episodici fino a coinvolgere dodici elementi complessivi. Ciò che colpisce immediatamente è la convivenza, veramente esemplare, che questa musica sa sfoggiare fra una pienezza di tratto costante e, nel contempo, un’estrema nitidezza, senza momenti convulsi o sovrabbondanti. Un’alchimia—se così possiamo definirla—che il diretto interessato ci illustra in questi termini: “Questo è un punto nodale dell’entità Critical Mass. Alla base c’è una ricerca piuttosto capillare su tutta una serie di equilibri, per esempio, appunto, nel rapporto tra massa di suono e chiarezza, cercando contemporaneamente la saturazione del suono stesso e la sua comprensibilità. Se parliamo quindi di pienezza, va detto che ho sempre cercato, anche in gruppi più ridotti, di creare un suono di tipo orchestrale, senza utilizzare uno strumento armonico di supporto. Per ottenere questo, molto spesso faccio lavorare tutti gli strumenti con linee armonizzate ma indipendenti, in modo da ottenere sonorità complesse. Anche l’ampio range strumentale contribuisce a rendere il suono più corposo, e i diversi colori timbrici danno l’impressione di un insieme più numeroso di quanto in effetti sia. Posso fare questo grazie alle qualità dei singoli musicisti, che spesso si sobbarcano linee individuali altrimenti adatte a un’intera sezione.”
“Circa l’altro elemento, la nitidezza, faccio molta attenzione al range di ogni strumento e soprattutto all’impasto timbrico, cercando l’amalgama migliore o la contrapposizione tra gruppi strumentali a seconda dell’effetto che cerco, che a volte provo a ricostruire da una suggestione. All’inizio del solo di tenore che si ascolta nel brano che apre il disco, “E=mc2,” volevo per esempio un suono che ricordasse una sega elettrica, effetto che ho ottenuto utilizzando dei cluster molto densi con i violini suonati in crescendo. Probabilmente il controllo dell’insieme è anche legato al mio impegno in conservatorio, dove insegno composizione jazz da vent’anni: i lavori dei ragazzi mi spingono a valutare tutti i parametri per la riuscita di un brano, cercando di far emergere all’ascolto l’effetto più che lo sforzo della scrittura, e questo inevitabilmente si riflette nel mio lavoro compositivo.”
Un’altra convivenza che colpisce per il suo alto grado di elaborazione in ogni brano del disco è quello, annoso in quanto pressoché indispensabile proprio in gruppi e in progetti di questo tipo, fra scrittura e improvvisazione. Ecco cosa ci dice Fazio in proposito: “All’inizio del mio percorso cercavo di adattare la scrittura alle strutture standard, senza ottenere quello che avevo in mente, per cui ho cominciato a pensare ai brani come organismi viventi, quasi autonomi, che crescono secondo una propria logica interna fatta di equilibri e coerenza. Credo di avere una buona capacità di visione d’insieme: come dico spesso, se non avessi fatto musica probabilmente sarei stato un buon architetto, o un buon cuoco. All’interno di questo organismo in crescita inserisco le parti improvvisate, che cerco di far emergere naturalmente dal tessuto compositivo: fornisco dei riferimenti precisi per lo sviluppo dei soli e per far capire l’atmosfera che ho in mente, ma poi lascio libertà assoluta di interpretazione ai musicisti, che possono giustamente ribaltare ogni mia aspettativa. Le strutture fanno riferimento non tanto o non solo a modelli armonici tradizionali o modali, ma a molte delle forme compositive che si sono sviluppate nel secolo scorso, in particolare a tecniche seriali, simmetriche o matematiche, che chiedono ai solisti un approccio non convenzionale.”
Una curiosità che nasce a questo punto spontanea—e che del resto riguarda tutti coloro che riuniscono organici di una certa corposità al servizio di un’idea anche compositiva forte—è sapere quanto i musicisti vengano scelti in risposta alla volontà di ottenere un dato impasto timbrico e quanto invece per le peculiarità individuali, musicali nonché umane. “Ci sono le due cose insieme,” chiarisce subito Fazio. “Da un lato cerco di ottenere un certo impasto, per esempio attraverso l’uso del violino, che sperimento da anni. Nel contempo cerco musicisti che oltre alle qualità tecniche abbiano personalità e soprattutto siano duttili, curiosi, stimolati dall’idea di uscire dalle strade più battute. Inizialmente per necessità, poi per scelta, ho cominciato a registrare con Critical Mass senza prove collettive preliminari: questo aumenta le probabilità di esiti inattesi, con qualche rischio in più, compensato dall’immediatezza dell’estemporaneità. Tutto ciò è possibile grazie allo studio di registrazione che ho in casa e soprattutto grazie a mia moglie Fosca, che è un fisico acustico e il mio sound engineer prediletto.”
Notevole, in effetti, l’apporto dei singoli, da vecchie conoscenze come Fiorenzo Sordini, sodale di Fazio fin dai tempi del citato Art Studio (nato nel ’74), Alberto Mandarini e Francesco Aroni Vigone, a giovani di notevoli prospettive come—per fare un nome solo—la ventiquattrenne (all’epoca dell’incisione) Anais Drago. “Come la musica—spiega Fazio—anche il gruppo è cresciuto come una cellula vivente fin dalla prima formazione, che risale alla metà degli anni Ottanta. Allora erano già presenti i tre che citi tu, poi si è aggiunto Gianpiero Malfatto e man mano tutti gli altri. La decennale frequentazione del nucleo-base ha creato uno zoccolo duro che ha permesso le scelte di cui dicevo. Io, nato al nord, sono di origini siciliane, e forse di qui ho preso la fascinazione per i colori: i musicisti che cerco sono spesso anche multistrumentisti, il che mi permette di aumentare notevolmente la tavolozza timbrica del gruppo. Per esempio, tra gli ultimi entrati, Gianni Virone suona vari sax e flauto, Luca Campioni violino, marimbe, xilofoni e percussioni, Adalberto Ferrari tutti i clarinetti, i sassofoni, e ultimamente l’ho visto maneggiare un fagotto, Anais Drago, violino, violino a cinque corde, mandolino ed elettronica: è la più giovane, è stata mia allieva di composizione ed è un grande talento di cui sentiremo parlare.”
E quando compone, ultima curiosità, Enrico Fazio fino a che punto ha in mente esattamente i musicisti con cui suonerà la sua musica, i solisti a cui affidare le parti improvvisate in quel dato brano e tutto ciò che ci gravita attorno? “Ho sempre ben in mente per chi scrivo e soprattutto a chi riservo i soli, cercando di immaginare come potrebbe reagire ogni singolo musicista in una certa situazione, in funzione del risultato finale. Fin dai tempi del Centro di Musica Creativa e dell’Art Studio, siamo stati un gruppo di musicisti piuttosto progettuali, anche muovendoci in territori vicini al free, il che ci ha portati a prediligere la continuità di lavoro e l’approfondimento delle relazioni musicali piuttosto che la pratica della jam session. Anche chi si è aggiunto al progetto di quest’ultimo lavoro di Critical Mass pur con una presenza limitata è stato scelto in base a precise caratteristiche. Valeria Sturba, che ha già partecipato a un altro mio lavoro ancora inedito, interviene col theremin con un effetto quasi di voce fuori campo: la voce del nostro pianeta che ci ammonisce. Moustapha Dembélé discende da una famiglia di griot maliani, suona kora, balafon e percussioni che si autocostruisce: a lui ho chiesto non di tenere il tempo, ma di improvvisare come solista aggiunto. Simone Ghio, infine, altro talentuoso mio ex allievo, suona chitarra, basso, tastiere, sax, tromba: l’ho utilizzato un po’ come il prezzemolo, per dare alcuni tocchi di colore finali.”
Un cocktail riuscitissimo, alla fine, capace di dar vita a uno dei più bei dischi usciti nel corso del 2019 nell’ambito del jazz di casa nostra. E magari non solo.
by Alberto Bazzurro per ALL ABOUT JAZZ