Enrico Fazio: contrabbasso, electronics
Alberto Mandarini: tromba, flicorno
Gianpiero Malfatto: trombone, euphonium, flauto
Adalberto Ferrari: clarinetti
Francesco Aroni Vigone: sax soprano, sax alto
Gianni Virone: sax tenore, sax baritono, flauto
Luca Campioni: violino
Anais Drago: violino, violino elettrico a 5 corde
Fiorenzo Sordini: batteria, percussioni
Valeria Sturba: theremin in
Moustapha Dembèlè: kora, djembe, tamani
Simone Ghio: tastiere, electronics
Wabi Sabi è l’ultimo disco di Enrico Fazio, registrato con la Critical Mass, a sei anni di distanza da Shibui, pubblicato anche questo dalla londinese Leo records. L’organico è sostanzialmente confermato con alcune new entry, tanto da ampliare la formazione fino a 12 elementi, non tutti presenti insieme, però, nelle sei lunghe tracce. Il bandleader piemontese opera, secondo il suo stile, su una musica sfaccettata, dove si avvertono le influenze di maestri del jazz come Mingus o Gil Evans, filtrate da un tipo di scrittura che utilizza procedimenti della classica contemporanea del novecento, seriale o dodecafonica. In ogni brano, solitamente, i temi sgorgano da unisoni dei fiati, che poi lasciano il campo a uno o più strumenti impegnati a distendere gli input ricevuti non in chiave solistica semplicemente, ma per dilatare il discorso in maniera che il fil rouge compositivo non si perda mai di vista. Così il nonetto+ ospiti diventa alternativamente una vera big band, con il lavoro di sezione svolto anche da uno o due strumenti, oppure si restringe in un gruppo di piccole dimensioni, un trio o un duo, per ricompattarsi a fisarmonica, a seconda delle necessità espressive. A Fazio, infatti, interessa soprattutto far interagire le voci singole e il collettivo in un gioco di incastri sempre aperto al fattore sorpresa, con finestre che si schiudono a melodie larghe o di vago sapore etnico e parentesi solistiche impastate in un jazz moderno, ma “anticato” dove, cioè, non mancano le licenze timbriche in odore di avanguardia e allo stesso modo si impongono sequenze polifoniche che ricordano il dixieland, almeno nell’approccio esplicativo. Va da sé che il suono complessivo dell’ensemble sia un punto di forza dell’intero progetto, tanto è netto, nitido e permeato da umori in apparente opposizione, in alcuni anfratti, armonizzato dalla sapienza architettonica del demiurgo che dirige le operazioni.
Fra i musicisti della Critical Mass, tutti molto compresi nella parte, occorre almeno citare il duo dei violini, Luca Campioni e Anaìs Drago, capaci di spaccare i motivi in cui entrano da protagonisti con interventi taglienti e indicativi. Fa lievitare il peso dei pezzi in cui inserisce i suoi ottoni, inoltre, Alberto Mandarini, un trombettista che sparge cultura jazzistica e musicale a vagonate nelle pieghe di ogni suo intervento. È particolarmente efficace e inquietante, ancora, la presenza del theremin di Valeria Sturba in Overhoof day, il brano migliore fra i sei, una sorta di tango proiettato nello spazio profondo, con un clima, cioè, da colonna sonora da film di fantascienza premonitore di sciagure planetarie future.
Il titolo dell’album si riallaccia ad una pratica zen che contempla l’errore come elemento connaturato alla vita degli uomini. In realtà Fazio riesce a coordinare al meglio il manipolo di strumentisti al suo fianco e a tirare fuori da ognuno un contributo ispirato e complice per la realizzazione di un disco intriso di buone intenzioni, portate a termine felicemente. Nel cd non si ascolta, però, una musica perfettina, levigata a fondo, ma qualcosa di ribollente di idee e di energia, mobile ed elastico, dove l’errore fa parte della pratica comune. L’obiettivo, dichiarato o sottinteso, è, in sintesi, quello di stare lontani il più possibile da una proposta cristallizzata in una perfezione formale fredda e sterile. Si punta più in alto, cioè, con i mezzi giusti a disposizione, seguendo l’esempio di campioni dello sbaglio innalzato a valore, Lacy e Monk, verso una musica luminosa, di ricerca e di sostanza.
Fra i musicisti della Critical Mass, tutti molto compresi nella parte, occorre almeno citare il duo dei violini, Luca Campioni e Anaìs Drago, capaci di spaccare i motivi in cui entrano da protagonisti con interventi taglienti e indicativi. Fa lievitare il peso dei pezzi in cui inserisce i suoi ottoni, inoltre, Alberto Mandarini, un trombettista che sparge cultura jazzistica e musicale a vagonate nelle pieghe di ogni suo intervento. È particolarmente efficace e inquietante, ancora, la presenza del theremin di Valeria Sturba in Overhoof day, il brano migliore fra i sei, una sorta di tango proiettato nello spazio profondo, con un clima, cioè, da colonna sonora da film di fantascienza premonitore di sciagure planetarie future.
Il titolo dell’album si riallaccia ad una pratica zen che contempla l’errore come elemento connaturato alla vita degli uomini. In realtà Fazio riesce a coordinare al meglio il manipolo di strumentisti al suo fianco e a tirare fuori da ognuno un contributo ispirato e complice per la realizzazione di un disco intriso di buone intenzioni, portate a termine felicemente. Nel cd non si ascolta, però, una musica perfettina, levigata a fondo, ma qualcosa di ribollente di idee e di energia, mobile ed elastico, dove l’errore fa parte della pratica comune. L’obiettivo, dichiarato o sottinteso, è, in sintesi, quello di stare lontani il più possibile da una proposta cristallizzata in una perfezione formale fredda e sterile. Si punta più in alto, cioè, con i mezzi giusti a disposizione, seguendo l’esempio di campioni dello sbaglio innalzato a valore, Lacy e Monk, verso una musica luminosa, di ricerca e di sostanza.
— by Gianni Montano on JAZZ CONVENTION