Wabi Sabi: la bellezza nell’imperfezione

Marilyn

Il wabi-sabi, nella cultura giapponese, insegna ad esercitare il distacco dall’idea di perfezione assoluta, per riscoprire la bellezza di una creazione intuitiva e spontanea, forse incompleta ma sicuramente ricca di originalità.

In uno scambio di messaggi con Enrico Fazio gli raccontavo la mia prima impressione all’ascolto di questo suo nuovo album adoperando il sostantivo “goduria” per indicare la mia reazione istintiva ed emotiva all’ascolto dei sei brani che compongono il compact. Solo un paio di giorni dopo Ettore Garzia nel suo bellissimo sito, Percorsi Musicali, usava lo stesso termine nella sua recensione.

Ed in effetti di goduria si tratta, puro piacere per le orecchie del jazzofilo troppo spesso maltrattate da album poco pregnanti seppur di (presunta) nobile paternità. Come dice giustamente Alberto Bazzurro nella sua recensione di Wabi Sabi su Allaboutjazz, siamo di fronte ad uno dei migliori album dell’anno e non solo in ambito italiano.

Prevedibilmente però nei referendum di fine anno non ci sarà grande spazio per Fazio ed i suoi patners, ma questo lo dobbiamo ad una serie di fattori che spesso poco hanno a che fare con la musica e che vanno dalla qualità del marketing fino alla scarsa propensione dei critici ad avventurarsi sui terreni meno prevedibili e battuti.

Poco importa, chiunque voglia dedicare un pizzico di attenzione alla proposta musicale di Enrico Fazio non può che restarne conquistato. Una media formazione, dai 9 ai 12 musicisti a seconda dei brani, che suona come una grande  orchestra lungo sentieri aperti e indicati dal contrabbasso del leader ma con ampi spazi dove i diversi solisti si esprimono in assoluta libertà.

Un lavoro di composizione fatto di cesellature, abili contrasti tra corde e fiati, utilizzo di strumenti meno usuali in una formazione jazz come il theremin e la kora, stratificazioni e frammentazioni melodiche e ritmiche sulle quali si innestano superbi assoli. Impossibile non menzionare Alberto Mandarini (al flicorno in E=mc2 e alla tromba in Sliding Times), la giovane e promettente violinista Anais Drago e l’ispirato clarinetto basso di Adalberto Ferrari (Lilo Variations) o l’ ottimo Francesco Aroni Vigone all’alto sax con Valeria Sturba al theremin (Overshoot Day).

Poco più di un’ora di musica fresca, innovativa e imperfettamente originale. Come purtroppo spesso accade, e penso anche all’orchestra di Dino Betti Van Der Noot, formazioni come questa hanno poco o nullo spazio nei festival nostrani. Pigrizia, disinformazione, necessità di fare cassa. Tutti elementi che nulla hanno a che fare con la musica, quella autentica, che ascoltate in questo splendido Wabi Sabi.

by Roberto Dall’Ava on TRACCE DI JAZZ